Descrizione di «Madonna del prato», opera di Giovanni Bellini.

Eccoci di nuovo insieme. Oggi ti presento «Madonna del prato», opera di un artista che amo particolarmente, Giovanni Bellini. Il dipinto fu realizzato attorno al 1505 ed è oggi conservato alla National Gallery di Londra.

Questo è un capolavoro della tarda maturità del pittore e l’artista veneziano. Sfruttando l’esito delle sperimentazioni della pittura lagunare del Rinascimento, riesce a realizzare la fusione tra le figure ed il paesaggio sullo sfondo. Al panorama agreste viene così data pari dignità e importanza come al soggetto religioso. Il paesaggio è indagato nei minimi dettagli, secondo le regole degli artisti fiamminghi, ben conosciuti in laguna; inoltre, questa attenzione ben si adatta al tono familiare e meditativo della scena in primo piano.

Madonna del prato opera di Giovanni Bellini

Un ampio e disteso prato è alle spalle di Maria e più lontano si vede una collina e una cinta di monti  azzurrini: si riconosce la  campagna a sud di Feltre, in particolare la collina detta «Colle delle Capre» sulla quale sorge la cittadella. Un tempo, dove Bellini ha posto la Vergine, sorgeva la chiesa e il convento di Santa Maria del Prato con annesso l’ospedale-ospizio. L’uomo che coltiva la terra a destra allude proprio al fatto che l’istituzione caritativa si reggeva sulle donazioni testamentarie e possedeva vari appezzamenti di terreno dati in affitto e dai quali traeva sostentamento per gli assistiti. Infine, l’uomo seduto a sinistra, mezzo nudo, ricorda i malati che in quel luogo venivano curati sia nel fisico che nello spirito. I delicati pioppi vestiti con le foglie verdi sembrano piegarsi alla brezza primaverile.

Simbologie nel dipinto

La rappresentazione del gruppo principale allude al destino di morte di Gesù. Ciò è ribadito anche dal colore della sua pelle, dal corvo e dall’albero privo di vitalità sulla sinistra. Bellini mostra Dio che si è fatto bambino per ricordarci come Egli abbia rivestito di debolezza la sua onnipotenza. Non a caso ma al preciso scopo di essere più vicino agli uomini. Diventa così più facile avvicinarsi a Dio, un bambino che come tutti gli altri è dipeso dai suoi genitori e da chi si è preso cura di lui. Dio ha voluto diventare così impotente da non essere capace di mangiare o di bere, di camminare o di parlare, senza l’aiuto di altre persone: ha scelto di dipendere dagli esseri umani per crescere e diventare adulto. Questo è il mistero dell’incarnazione che il saggio Giovanni Bellini mostra nella sua opera: Dio ha assunto la natura umana ed è diventato uomo in modo non diverso dagli altri esseri umani per aprirsi un varco tra i muri del potere in totale debolezza.

Questa è la storia di Gesù. E come finisce questa storia? Bellini, ancora una volta, lo suggerisce con la postura e l’atteggiamento emotivo dei personaggi. Maria, rappresentata come una giovane donna con il piccolo addormentato in grembo, allude alla scena della Pietà, quando Gesù ormai adulto e deposto dalla croce le sarà posto in braccio; Bellini risente della tradizione francescana che enfatizza la tenerezza dell’evento e l’umanità dei protagonisti, tanto che nel volto della Madre così giovane e fresco si coglie il presentimento e la dolorosa consapevolezza della sofferenza cui è destinato Gesù.

Ricondurre l’uomo in un abbraccio di compassione

L’impotenza della mangiatoia diventerà l’impotenza della croce, la gente lo schernirà, riderà, gli sputerà in faccia e sotto la croce gli urlerà: “Ha salvato gli altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e gli crederemo”. Egli però decide di portare a termine il compito assegnatogli dal Padre, benché nel pieno del dolore fisico, con il cuore spezzato per il tradimento dei suoi amici e l’abuso dei suoi nemici, con l’animo torturato dall’angoscia e con lo spirito avvolto nell’oscurità dell’abbandono, nella totale debolezza e impotenza. Questo è il modo che Dio ha scelto per rivelare il suo amore, per ricondurre l’uomo in un abbraccio di compassione, come rivelano i due buoi che nella piccola fattoria sfregano docilmente la testa tra loro, al fine di convincerlo che la sua misericordia è senza limiti ed è capace di rompere i limiti angusti della morte: a questo allude il pellicano che uccide il serpente sulla sinistra a simboleggiare la resurrezione, nuova vita e liberazione dal male del peccato. Grazie per la tua attenzione.