L’enigmatica «Tempesta» di Giorgione, opera realizzata intorno al 1502 e oggi conservata alle Gallerie dell’Accademia di Venezia.

Giorgione, il pittore noto come Giorgio da Castelfranco, località veneta dove egli nacque intorno al 1577, realizzò opere per una ristretta cerchia di committenti privati: questi dipinti non furono molti, ma contribuirono a rinnovare la pittura del tempo.

Questa opera del maestro veneziano rappresenta un unicum nel panorama della storia dell’arte, un inno alla libertà creativa che sfugge a qualsiasi ricerca di significati: Giorgione rinuncia alla linea di contorno e si affida al chiaroscuro e al colore, immerge le figure nella natura e nel paesaggio perfezionando la tecnica basata sulle gradazioni luminose.

Descrizione dell’opera

La «Tempesta» presenta un paesaggio attraversato da un fiume che passa sotto un ponte di legno; dietro è raffigurato un paese con torri sovrastato da un cielo illuminato da un fulmine; a sinistra, in primo piano, si vede un uomo con abiti cinquecenteschi e con una lunga asta in mano rivolto verso una donna che, dall’altra parte della tela, allatta un bambino. Quest’ultima, seminuda e appena riparata da un cespuglio, guarda verso lo spettatore. Non conosciamo l’identità di questi personaggi perché, così come accade in altre opere di Giorgione, si sottintende un gioco intellettuale. Parte integrante del piacere di guardare il quadro era provare ad interpretarne il significato.

Simbologie 

Tra le molteplici interpretazioni che nel tempo sono state attribuite all’opera, ritengo interessante quella che identifica i personaggi come Adamo, Eva ed il piccolo Caino tra le sue braccia: questa lettura è avallata dalla presenza di una formella marmorea sulla facciata della Cappella Colleoni di Bergamo in cui Adamo ed Eva occupano  le stesse posizioni delle due figure nell’opera giorgionesca, benché una figura barbuta al centro del rilievo bergamasco sia qui sostituita dal fulmine.

La presenza di un serpente che si nasconde nella cavità della roccia in basso sarebbe un altro elemento che conferma questa interpretazione; anche il cespuglio che fa da riparo alla donna allude alla vergogna che assale Adamo ed Eva dopo il peccato, tanto che Eva è spesso rappresentata tra cespugli e fronde che ne coprono le nudità per tutto il corso del Medioevo. Le due colonne spezzate dietro alla figura maschile alludono alla morte del paganesimo, come si vede in molte scene di Natività, ma in questo caso potrebbero anche richiamare la punizione divina dopo il peccato e il conseguente destino di morte che ne deriva; il fulmine infine, sostituirebbe la figura di Dio intento ad imporre a Adamo ed Eva il loro destino terreno presente nel rilievo di Bergamo.

L’uomo, come abbiamo detto, indossa abiti moderni, espediente usato dagli artisti per attualizzare il tema: il destino di Adamo è anche quello di tutti gli uomini. Adamo guarda Eva; Eva allatta il bambino, gesto che allude ai dolori del parto a lei imposti come punizione a seguito del peccato, e guarda verso di noi, coinvolgendoci nella raffigurazione e rendendoci consci della sua condizione che anche noi condividiamo.

Significati

L’albero sulla destra, direttamente collegato alla figura femminile, allude forse all’albero della conoscenza del bene e del male. Questo tema riguarda il limite umano e la sua accettazione. In genere è un tema frainteso e interpretato come un divieto arbitrario di Dio alla libertà umana, quando invece l’ordine dato all’uomo di «mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché nel giorno in cui ne mangerai, morirai» è un invito e stimolo alla libertà.

Essere libero vuole dire avere la possibilità di godere della vita e di tutti i doni meravigliosi che Dio ci ha fatto; il divieto è un invito per l’uomo a riconoscere il limite del suo essere creatura perché se non lo riconosce rischia di morire e di autodistruggersi in un delirio di onnipotenza che si concretizza nel rifiuto del limite. Nella vita ci sono divieti da rispettare e da imporre per il bene di tutti, tanto che non si può crescere un bambino senza qualche volta dire di no.
Quell’albero della conoscenza, in realtà, è l’albero del rapporto paterno e di quella fiducia che ci permette affidarci a qualcun altro. Il peccato dei progenitori, origine di ogni peccato e di ogni fallimento, è l’aver rifiutato il proprio limite e la presenza di qualcuno capace di consigliare e di prendersi cura delle proprie creature. Alla mancanza di fiducia dell’uomo, Dio rinnova con pazienza la sua proposta di alleanza. Riconosci che da solo non puoi farcela, fidati di me, non ti deluderò! Ti lascio con una frase che mi ha profondamente colpito tratta dal libro biblico di Giosuè: «Non ti ho io comandato: Sii forte e coraggioso? Non temere dunque e non spaventarti, perché è con te il Signore tuo Dio, dovunque tu vada».