La schiavitù è veramente finita?

di Riccardo Bramante 

Proprio nel giugno di centosessanta anni fa, nel 1862, il Congresso americano aboliva ufficialmente la schiavitù


In verità, il commercio degli schiavi aveva origini antichissime; era praticato dai Greci e dai Romani che consideravano lo schiavo una “res”, una cosa e tutto era giuridicamente regolato. Sopraggiunse poi il cristianesimo che, in nome dell’eguaglianza tra esseri umani, diede il colpo finale a questa pratica. 

La tratta degli schiavi africani, invece, iniziò nel 1441 ad opera del portoghese Nuno Tristao che dalle coste africane riportò in Portogallo una decina di indigeni che, dopo essere stati convertiti (con la forza) alla religione cristiana, furono mandati a lavorare nelle piantagioni.

Da quel momento tutte le più grandi potenze marittime europee, Spagna, Francia, Inghilterra, Olanda, iniziarono un vero e proprio commercio, spesso in conflitto tra loro con guerre vere e proprie dati i rilevanti interessi in gioco.

Questo commercio si estese anche fuori dall’Europa e nel 1619 i primi schiavi neri arrivarono in Nord America nello Stato della Virginia. Il loro numero è andato man mano aumentando fino a raggiungere, nel 1860, i 4 milioni di nuovi arrivati sparsi in tutti gli stati del Sud, Georgia, Maryland, Texas e Louisiana soprattutto.

Ma nonostante che, nel frattempo, la tratta degli schiavi fosse stata abolita da tutti gli Stati europei, questa continuò a prosperare negli Stati Uniti, divenendo un elemento essenziale per l’economia prevalentemente agricola degli Stati del Sud.

Alla fine, però, la nuova classe politica insediatasi a Washington capì che in un Paese dove uno dei principi di base era l’uguaglianza non poteva sopravvivere quella pratica brutale e si cercò di limitarla dapprima e poi vietarla dando luogo a quella che fu una vera e propria lotta fratricida tra Stati del Nord , industrialmente più avanzati, e quelli del Sud, maggiormente attaccati alle tradizioni.

Fu una guerra lunga, ma alla fine prevalsero gli Stati del Nord e si giunse alla riunificazione di tutto il Paese, anche se ciò costò la vita al più convinto assertore del nuovo corso, il Presidente Abramo Lincoln.

Abolita per legge, la schiavitù si trasformò in una sorta di “apartheid”, con scuole, trasporti, ospedali rigorosamente separati tra bianchi e neri. Indicativa dell’atmosfera allora esistente è la circostanza che ancora nel 1957 dovette intervenire l’esercito per permettere l’ingresso in una scuola di Little Rock, in Arkansas, a nove studenti di colore che il governatore di quello Stato aveva allontanato.

L’avvento del generale Colin Powell alla massima carica dell’esercito e infine la salita alla presidenza degli Stati Uniti di Barak Obama sembra aver sancito il nuovo stato delle cose. Ma è veramente così? Qualche legittimo dubbio sorge quando ancora oggi leggiamo che quasi giornalmente si verificano brutali aggressioni, se non uccisioni di neri ad opera di bianchi, soprattutto poliziotti.

Forse rimane ancora una parte di cammino da fare!