Quando scrivevamo lettere e facevamo interurbane
Una volta si scrivevano lettere, le interurbane costavano e il contatto con parenti e amici era epistolare.
A Pasqua e a Natale si spedivano e ricevevano cartoline, pasquali e natalizie. Era una piccola gioia trovare nella cassetta delle poste il biglietto della prossima festività arrivare da Milano, Verona, Bari. Un segno tangibile che qualcuno ci ricordava con affetto.
Il biglietto era stato acquistato, stato scritto e firmato da tutta la famiglia. Poi imbustato, affrancato e spedito.
Tutti passaggi che avevano richiesto tempo, e di questo eravamo grati!
Adesso è tutto molto più facile anche se molto più impersonale. non è raro ricevere messaggi che, si capisce, sono dei copia e incolla. Stringate parole che equivalgono a stringati sentimenti.
Abbiamo perso la capacità di scrivere, di pensare e di sentire. Ci serviamo di frasi fatte, prese in prestito, copiate.
Quando scrivevamo lettere e facevamo interurbane.
“Cari auguri per un sereno Natale da Paola e Carlo” con varie emoticon a seguire.
Grazie no! Non rispondo a questi messaggi e, quando li ricevo, spesso cancello proprio il contatto dal cellulare.
Una volta, invece, le lettere che si usavano per comunicare morti e nascite o notizie della famiglia, esigevano un vero e proprio esercizio letterario. Bisognava scrivere bene, con bella grafia e espressioni corrette e mai banali. Si cercava di raccontare i fatti che si volevano condividere, con simpatia e magari anche con un motto di spirito sempre gradito!
Dietro a questo c’era il pensiero. Il pensiero, pensare, spremere le meningi, come si diceva una volta. Ahimè, attualmente vedo poche meningi spremute. Abbiamo raggiunto la libertà di parola e guai a chi ce la tocca, ma il parlare esige la capacità di pensare autonomamente, e questo richiede uno sforzo.
Il pensiero, per volare alto e libero, si deve nutrire di buoni studi e ottime letture per poi diventar verbo e confrontarsi, cimentarsi in tavole rotonde e brillare insieme ad altri liberi pensieri liberamente espressi.
Ma, mi chiedo, a cosa ci serve il pensar liberamente se l’unica minima fatica la utilizziamo nel ripetere ciò che altri hanno pensato in vece nostra?
“ Di nostro, personale e autentico è rimasto poco, oltre a un generale impoverimento della nostra bella lingua italiana!”!
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