di Alessio Fucile
 
«Incoronazione di spine» di Caravaggio, del 1603 e conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Una luce diffusa e battente entra dall’alto a sinistra e rivela la scena: due sgherri, canna in mano, premono con violenza una corona di spine sul capo di Gesù che si piega docile come una canna. I tre corpi si muovono dentro a un quadrato, creando un gioco di diagonali che orienta lo sguardo dell’osservatore verso il volto sofferente, ma pacificato e mite, di Gesù.
 

Egli indossa un mantello porpora e impugna la canna consegnatagli dai suoi aguzzini, come scettro beffardo per un re di burla. Dei due flagellatori uno indossa teli annodati sul busto e sul capo, l’altro ha il volto coperto dal suo stesso gesto di violenza: sono immagine del male che lega l’uomo, lo schiavizza e lo abbruttisce fino a togliergli dignità e identità. Il corpo di Cristo non è segnato neppure con una goccia di sangue: ha la bellezza e lo splendore del Risorto. Un terzo uomo, un cavaliere vestito come i contemporanei di Caravaggio, a stento si distinguerebbe dal cono d’ombra in cui è confinato se non fosse per il colletto bianco e per lo splendido piumaggio che gli adorna il copricapo; si appoggia pensoso a un parapetto e assiste al supplizio con sentimenti indecifrabili. Con un semplice e sapiente accostamento Caravaggio offre una riflessione sull’ambiguità dell’uomo di fronte al male e alla solare chiarezza della verità dell’Uomo Dio: da una parte c’è un uomo armato ma indifferente di fronte all’ingiustizia, dall’altra c’è un giusto, indifeso e inerme di fronte ai suoi torturatori. Il cavaliere indifferente non partecipa attivamente alla tortura ma è colpevole tanto quanto gli esecutori: il male ha scatenato le sue forze e l’uomo è rimasto spettatore muto.
Caravaggio denuncia, anche per esperienza diretta, come le conseguenze del male non si possano prevedere: una volta dato libero sfogo alle proprie passioni s’imbocca la via della violenza e della morte perché il peccato ha conseguenze e non finisce con chi lo commette, ma la redenzione sta nella logica del perdono e dell’amore che Cristo ha manifestato proprio nel corso della sua passione e morte.
 
Dolore e violenza sono le caratteristiche fondamentali del quadro che esprime il mistero del male, spesso una sfida alla tua mente e la tua fede. Il Merisi risponde a questa provocazione dipingendo un Dio che in Gesù fa suo il male che ogni giorno anche tu sperimenti nel mondo: il pittore crede che la bontà di Dio si manifesti, benché in maniera incomprensibile, anche nella sofferenza e nella morte.
 
Una bellissima definizione della Provvidenza si può trovare in Alessandro Manzoni, il quale scrive: «Dio mai turba la gioia dei suoi figli, se non per preparare loro una gioia più certa e più grande». Imprimi nella mente questa definizione che è un capolavoro, racconta la paternità di Dio: ogni azione di Dio è orientata alla disciplina, non alla distruzione. Educare e, laddove necessario, punire un figlio costa sia al genitore che al figlio, ma tutto è finalizzato a poter vivere con pienezza, ad imparare a saper aiutare il prossimo, a capire che la propria volontà non può sempre essere la priorità. Così recitano i Proverbi: «Apri il tuo cuore alla correzione e il tuo orecchio ai discorsi sapienti». Dio è un buon papà, che dice: «Figlio mio, se il tuo cuore sarà saggio, anche il mio sarà colmo di gioia».
 
Nel cavaliere indifferente Caravaggio rappresenta l’enigma di ogni uomo. Dal parapetto della storia anche tu puoi guardare la scena crudele e domandarti quale uomo porti dentro di te: quello schiavo del peccato e di una delle tante dipendenze che oggi affollano la società? Quello senza volto che si sottrae volentieri alle proprie responsabilità? Oppure l’uomo redento da Cristo capace di lasciarsi amare e amare come lui, fino alla fine?