Sono importanti oltre che belli certi dischi. E quando si trovano firme come quelle di Massimo Priviero allora possiamo star certi che al romanticismo folk si associa anche un certo peso storico fatto di uomini e di vita. Sergio Borsato torna in scena e chiede proprio a Priviero la direzione artistica per questo disco titolato “Liberi e forti”: gli ultimi della vita, ma anche il quotidiano di ognuno di noi, tra ricchi e potenti, tra diseredati e vittime. La memoria poi di storie e vicende, l’omaggio allo stesso Priviero e quel certo fare americano con cui dipingere di rock bellissime vellutate melodiche.

Il grande folk americano coniugato nelle ballad italiane. Assai violenta come sintesi… come la vedi?
Quella che generalmente chiamiamo musica popolare americana (o Folk americano) è, paradossalmente, nata in Europa. Diciamo che tutta la cultura americana è universale, poliglotta e non indigena. Sembra una semplificazione la mia, ma è storicamente riconosciuto che quello che oggi noi chiamiamo Folk Americano, sia frutto, in larga parte, di contaminazioni europee (e per quanto riguarda il Blues, Africane). In quello che viene definito Folk Americano, sono ampiamente riconoscibili elementi tipici delle musiche popolari europee (In primis irlandesi, scozzesi e inglesi..). Diciamo piuttosto che le ballad italiane sono una sintesi perfetta delle contaminazioni dei Paesi Europei. Soprattutto nel nord d’Italia. Quindi, più che una sintesi violenta, ci trovo un’armonia naturale.

La storia e la memoria… la stiamo curando assai poco in questo tempo… secondo te perché? È comodo non ricordare?
L’uomo naturalmente è egoista. Ci riteniamo evoluti, ma, anche se la scienza ha fatto passi da gigante, siamo rimasti ancora all’età della fionda. Cambia solo il fatto che la tecnologia ha perfezionato il modo di fare le guerre. Quindi, abbiamo solo mutato le condizioni, ma siamo rimasti lì, gravidi di pace, ma incapaci di partorirla. Consiglio a tutti di andarsi a leggere una bella poesia, scritta dal poeta napoletano Salvatore Quasimodo, dal titolo “UOMO DEL MIO TEMPO”.

Ma parlando di attualità, è comodo non generare niente che resti domani, dunque non fare storia?
Questo parto alla modernità fluida, che sviluppa la cultura della fretta, non riesce a cogliere i fotogrammi del passato e quindi disperde quella che è la memoria storica. Tralasciando quella monumentale, fatta di esempi imposti, che possono essere frutto di ideologia dei vincitori, la memoria storica permetterebbe, se osservata attentamente, a mio modesto avviso, di sviluppare le criticità contemporanee e sviluppare azioni predittive, che permetterebbero, quindi, uno sviluppo armonioso del genere umano.
Ma questa è Utopia?

Il suono folk che passa da Priviero e Anelli. Come hai scelto queste due grandi collaborazioni?
Quando penso alla parola collaborazione, penso alle persone che vorrei avere al mio fianco e che possono aiutarmi e supportarmi nel mio lavoro. Diciamo che Massimo e Richi, ma anche Francesco Matano e quelli che hanno collaborato alla nascita di “Liberi e Forti” sono le persone che più si avvicinano al mio modo di pensare la musica, che riescono a lavorare fianco a fianco per andare nella stessa direzione, delle quali mi fido e alle quali ho potuto delegare parte del mio lavoro iniziale.

Il futuro per Sergio Borsato? Parlando dei tuoi suoni e della tua forma canzone?
Lasciare impronte, in questo mondo malato, è sempre stato il mio obbiettivo, indipendentemente dai giudizi (o pre-giudizi), della critica. Se i miei lavori piacciono significa che quelle impronte hanno generato un percorso da seguire, o semplicemente delle emozioni che accarezzano la vita di chi le ascolta. Non faccio voli pindarici, non sono un personaggio in cerca di autore e il mio futuro è oggi.
Domani si vedrà!