Nella vita di ogni giorno, a Bruxelles, Alessandro Quadri di Cardano lavora presso le Istituzioni Europee e dunque c’è ben da capire come l’intrigo, il sapore esterofilo quasi apolide della sua penna, trovi terreno fertile dove seminare e raccogliere. Ed è forse per questo che scorre con tanta convinzione questo suo nuovo romanzo edito da Bertoni dal titolo “La mela marcia”, un giallo ambientato in una New York di intrighi e di piste confuse, di sabotaggi, di omicidi seriali. E poi il depistaggio… ci avviciniamo come si deve a due passi dal burrone…

Un serial killer, delitti messi a tacere da facili colpevoli, poi l’impegno personale e la svolta rintracciata dentro pieghe poco illuminate della città. Ricordi i delitti della Banda della Uno Bianca? Una storia dalla stessa ossatura… è un caso?
Un romanzo giallo, per essere credibile, deve essere realistico. Per creare una storia che catturi i lettori e che appassioni durante tutto l’arco narrativo, lo scrittore deve saper esplorare le passioni umane, compresi i più segreti e vili desideri. Solo in questo modo si creano romanzi attuali e comprensibili a persone di altri luoghi e che mantengono la loro freschezza nel tempo. Proprio perché si lavora con l’animo umano è facile ritrovare similitudine con la realtà, anche perché questa, come è noto, supera spesso l’immaginazione.

Perché New York come sfondo?
La trama che avevo immaginato non era compatibile con il sistema giuridico italiano. Per essere credibile, avevo bisogno che la storia si svolgesse negli Stati Uniti. A quel punto, New York si è imposta da sé. Infatti, avevo bisogno di una città molto popolata e multietnica, in cui le persone siano, al tempo stesso, tremendamente sole anche se sono sempre circondate da altri. La solitudine dell’individuo nella massa è, indubbiamente, un elemento centrale nella vicenda e New York, in quanto simbolo della grande città metropolitana, era un’ambientazione ideale.

Hai vissuto nella grande mela? Altrimenti mi incuriosisce sempre chiedere di come si possa raccontare così intimamente di un luogo senza averlo vissuto.
La New York che fa da sfondo alla vicenda non è la città reale, ma quella presentata dalla cinematografia del genere poliziesco degli anni Ottanta, Novanta e Duemila. Una megalopoli dove l’individuo si perde tra opportunità infinite, nel bene e nel male.
Si tratta di uno sfondo teatrale, molto oscuro, quasi una Gotham City dove si aggira un predatore spietato, capace di sfruttare le folle per nascondersi e cacciare.
Per dare vita a questa ambientazione ho svolto un’approfondita attività di ricerca, passando ore su internet per documentarmi. Ho anche letto diversi libri e ho seguito vari blog per potermi immergere nello spirito della città.
Una volta finito il volume, sono andato due settimane a New York a percorrere i luoghi dove si svolge la vicenda e assicurarmi che la storia fosse credibile. Ho potuto così modificare alcuni elementi per rendere l’ambientazione quanto più realistica possibile.

La risoluzione di gialli, per davvero, secondo te cosa nascondo nel profondo di chi legge? Cosa fa leva nel nostro modo di percepire la storia?
Il romanzo giallo ruota generalmente intorno all’omicidio, il più grande tabù della società umana. Fin dagli albori della storia, uccidere un proprio simile è stato considerato sbagliato e inaccettabile. In più, molto spesso, sono proprio le persone più vicine alla vittima quelle coinvolte nella sua morte. Questi elementi non possono che affascinare, perché obbligano il lettore a confrontarsi con le più oscure pulsioni dell’essere umano. Se l’atto, in quanto tale, ci è estraneo, la pulsione che porta un individuo a uccidere è insita in ciascuno di noi. Per questo i romanzi gialli appassionano, perché ci fanno dubitare sul fatto che anche noi, in determinate circostanze, potremmo forse varcare il limite estremo.

Quanto ha contato il tuo lavoro e la tua vita professionale per la scrittura del romanzo?


Scrivere è un modo di equilibrare la mia vita. Di giorno mi occupo di questioni finanziarie per la Commissione Europea. Sono quindi immerso in numeri, regole e procedure burocratiche. Di notte ho bisogno di sognare e la scrittura è una porta che mi permette di evadere. In questo senso, le due realtà sono speculari e si completano perfettamente, nutrendosi a vicenda.