Torna in scena lo scrittore catanese Giorgio Pulvirenti con un libro che di nuove tesse fili in bilico tra politica, società e tantissima condizione umana che è il vero cuore di questo romanzo. Si intitola “Mi Chiamo Harry Gray”, un thriller dentro cui l’inferno della guerra dipana le radici del vero sentire umano. Un libro che sa bene come farci sentire tutti vicini al protagonista, Harry Gray, nonostante sia così cambiato il mondo da quella Seconda Guerra Mondiale…
La prima cosa che mi colpisce è questo tornare sempre all’America. Perché? Che rapporto hai con questa parte di mondo…?
Beh, la prima risposta che mi viene da darti è quella più scontata, ovvero che, dati i temi trattati, la miglior ambientazione di “Mi chiamo Harry Gray” non poteva che essere l’America, in questo caso la Louisiana, paese d’origine del protagonista. Per quanto riguarda il mio personale rapporto con questo Paese, che dirti, l’America per me ha sempre rappresentato un vero e proprio sogno. Fin da piccolo, sono stato attratto dai racconti dei cowboy e dei nativi americani, dalla varietà dei paesaggi e dalla cultura, insomma, un po’ da tutta la storia di questo fantastico continente. Poi, essendo un appassionato di cinema, credo che anche questo abbia influito a far accrescere la mia affezione nei confronti dell’America. Ho un sogno che spero un giorno di poter realizzare: fare un coast to coast sulla mitica Route 66 a bordo di una Harley Davidson…
E poi il passato… la grande guerra… come hai sagomato la storia e i dettagli di questo tempo?
Studiando. Studiando molto e in maniera approfondita. Trattandosi di un romanzo storico, lo studio dell’epoca è una cosa imprescindibile. Per natura, non mi reputo un tipo troppo pignolo, tranne per ciò che riguarda i miei lavori. Cerco di curare ogni minimo dettaglio in modo da rendere quanto più veritiera possibile la storia che voglio raccontare. Diciamo che, essendo “Mi chiamo Harry Gray” un prequel-spinoff del mio precedente romanzo “La chiave di Ellie”, il personaggio di Harry era già ben delineato nella mia testa, così come tutto il resto della vicenda. Naturalmente, ho cercato di calarmi appieno nei suoi panni e in quelli degli altri personaggi, ho vissuto con loro, ho sofferto con loro, ed è proprio questo uno degli aspetti dello scrittore che più mi entusiasma.
Quanto il cinema ha contaminato la scrittura di questo libro? Un libro che in qualche modo è da vedere anche?
Beh, contaminato forse no, ma come detto prima, essendo un cinefilo, posso sicuramente confermare che lo studio di alcuni grandi film dello stesso genere (“Gli intoccabili”, “C’era una volta in America” su tutti) mi hanno aiutato ad avere un quadro più chiaro della situazione. Poi va beh, dato che hai tirato in ballo proprio il discorso “cinema”, ti confesso che prima di scrivere romanzi il mio sogno è sempre stato quello di scrivere sceneggiature, cosa che ho anche fatto. Magari un giorno chissà se potrò trasformare uno dei miei romanzi in qualcosa per il grande schermo…
Posso dirti che c’è tanto blues nella scrittura di questo lavoro? Come anche nella copertina…
Buona parte della storia è ambientata all’interno di uno speakeasy, il B13, luogo dove si serviva illegalmente alcool e dove la musica blues e jazz la faceva da padrone. Ho cercato di ricreare un po’ quel mondo lì, e per farlo ho utilizzato come fonte di ispirazione vari brani di mostri sacri come Frank Sinatra, Louis Armstrong e Dean Martin che, come per i miei precedenti romanzi, ho racchiuso in una playlist disponibile su Spotify.
Che poi il passato è l’impalcatura della storia di ognuno di noi… non credi?
Certo. In tutti i libri che ho scritto, il comun denominatore è sempre stato il passato, come anche in questa nuova storia. Racconto del passato di Harry, un passato che ha celato per molti anni per motivi che solo leggendo il libro si scopriranno. Quel passato, comunque, brutto o bello che sia, fa parte di lui, del suo essere, è servito a forgiarlo e a farlo diventare l’uomo che è, e con esso dovrà convivere, così un po’ come noi.