Anna Jencek rappresenta un unicum nel panorama musicale contemporaneo, una figura che mescola con sapienza l’anima poetica con quella musicale, creando opere di straordinaria profondità emotiva e intellettuale. L’avevamo conosciuta con l’operazione dedicata alle poesia di Goethe, Pavese, Neruda e Saffo. Oggi torna su quel tracciato dando spazio e voce ai Sonetti di William Shakespeare nel disco uscito per Moletto Music dal titolo “Jencek canta Shakespeare”, che rappresentano a tutta probabilità una delle vette del suo percorso artistico. Come evidenziato dalla lettera di Arturo Schwarz che apre il booklet di presentazione: il suo lavoro si distingue per un’intensa sensibilità verso il testo poetico, capace di restituire alla parola tutta la sua carica simbolica e sonora.
La musica di Anna Jencek si configura come un’autentica celebrazione della Parola. Non si limita ad accompagnarla, ma diventa parte integrante del processo creativo o forse, altra chiave di lettura, fa un passo indietro appena quanto basta per non restare in ombra e non restituire ombre alla lirica. Schwarz descrive questa simbiosi come un matrimonio: la musica si fa “sposa” del poeta, amplificando il significato delle sue parole con melodie che sembrano scaturire direttamente dalla loro essenza.
Del suono e dei suoi ricami, un dialogo con Bach e Satie. L’influenza del contrappunto bachiano è centrale, la sua scrittura polifonica esplora i principi della fuga e del contrappunto, creando un intreccio di melodie che si riflette nella complessità e nell’universalità dei temi poetici affrontati. Questa ricerca si mescola con l’essenzialità evocativa di Erik Satie, restituendo emozioni vive e puntuali. Mai annoia, sempre ha con se l’arte dell’evocazione. Siamo dentro pellicole e favole.
È ancora Schwarz che sottolinea l’importanza del tempo come tema conduttore nelle opere della sua amica Anna. I sonetti di Shakespeare, che esplorano la caducità dell’esistenza e l’eternità dell’arte, trovano nelle composizioni della Jencek un’eco che riflette e amplifica le loro sfumature. Sono epoche distanti quelle scene in campo a custodire il dialogo dell’opera, il passato che si mescola al futuro.
E ancora: la chitarra, descritta da Herbert Pagani come la “protesi del cuore” di Anna, è lo strumento centrale della sua espressione. Strumento di intimità e introspezione, la chitarra funge da base per molte delle sue composizioni, spesso integrate da orchestrazioni ricche e variegate che mescolano strumenti classici e tecnologie contemporanee. Questo approccio stratificato arricchisce ulteriormente il carattere polifonico e dialogico delle sue opere.
Anna Jencek, come suggerisce ancora Schwarz, incarna l’artista “underground” nel senso più profondo del termine. La sua arte, lontana dai riflettori mediatici, si nutre di introspezione e di un dialogo continuo con le profondità della psiche. In questo senso, il suo lavoro può essere visto come un viaggio alchemico attraverso l’inconscio, un’esplorazione di tesori nascosti che trovano espressione nelle sue composizioni. Le opere di Anna Jencek sono un esempio straordinario di come la musica possa diventare veicolo di poesia, filosofia e introspezione, parola cardine che trovo centrale sempre. La sua capacità di fondere il linguaggio universale della musica con quello altrettanto universale della poesia rende il suo lavoro una testimonianza vibrante della potenza creativa dell’arte. Attraverso le sue composizioni, Anna Jencek non solo celebra la parola poetica, ma la trasforma, donandole una nuova vita sonora che continua a risuonare nel tempo. Nel futuro siamo in preda del tempo liquido. Lei ci restituisce lo spazio e il “vuoto” catartico utile a fare posto. La parola domina.