E qui siamo di fronte un percorso culturale alto, ampiamente dedito alla ricerca di un passato a cui restituire una voce importante per salvarlo, proteggerlo, custodirlo e dunque tramandarlo al futuro. Che non vada perduto… Giovanissima Alessia Luongo che da sempre ha dedicato il suo studio alla riscoperta di quel certo modo di suonare la chitarra battente e il colascione, strumenti di una tradizione antica – siamo a Napoli nel XVII e XVIII – strumenti che di sovente erano il degno corredo di maschere, opere buffe, commedianti e giullari. Alessia Luongo pubblica un disco che noi vogliamo sottolineare con il peso importante che merita: si intitola “Largo di Castello – balli e canti su colascione e chitarra battente alla maniera antica”, pubblicato per la RadiciMusic Records, disco che celebra il raccolto di un percorso dentro cui spicca anche la collaborazione con figure prestigiose come quella di Manuel Pernazza (ambasciatore nel mondo della maschera di Pulcinella, col quale collaboro e porto in tutto il mondo in scena spettacoli-musicali che coinvolgono l’opera buffa, la musica e la commedia dell’arte) e con il M° Roberto De Simone.

Un disco che diviene una missione culturale oggi. Sentiamo sempre parlare di teatro napoletano, di maschere, di giullari… ma la cultura di oggi quanto ha conservato di questo mondo che contribuisci a non perdere?
Nulla. Anzi, credo che delle tre cose citate, se ne parli soltanto nella maniera più becera e folkloristica. Per teatro napoletano la massa intende soltanto quello del novecento (nei suoi straordinari pro e nei decadenti contro), per maschere ne parla nella cultura di massa soltanto nel carnevale e il termine “giullari” forse viene ancora citato in maniera superficiale. Non ho timore a dire a tutte le persone che pensano questo che sono ignoranti. Scuso chi non conosce, loro hanno solo bisogno di conoscere qualcosa di distante da loro (anche per questo sono sempre disposta a raccontare e raccontarmi di conseguenza), ma sono spietata con chi millanta un’educazione culturale, che in realtà è chiusa all’approfondimento. Perché mettersi in discussione che è una qualità
straordinaria, oggi viene vista come qualcosa di orribile. La superficialità è il cancro di questa società che porta il mondo culturale in un baratro. È doloroso sentire da persone che avrebbero anche tanto da donare al mondo culturale (non solo in maniera artistica, parlo anche nell’ugualmente importante settore delle organizzazioni riguardo tutto ciò che è arte) che il settore sta morendo. Ma come dare torto? È morto già, si sta quasi decomponendo, è un dato di fatto. Allora tocca alle persone che hanno una missione, un qualcosa che va al di là di tutto, compiere un miracolo: dare sprazzi di vita a questo settore, facendolo con sacrifici, senza cedere a nessun compromesso nel farlo di professione, anche se ha le sue enormi difficoltà e vi sono giornate più infelici di altre. Bisogna arrivare a far capire che teatro napoletano è uno studio più intenso, che parte da prima del 1500, ad esser precisi. Bisogna far comprendere che le maschere hanno una valenza antropologica immensa, che pone le radici nella storia del Teatro (nel 1600 i comici italiani venivano chiamati in tutta Europa!). Bisogna conoscere la figura del giullare, nel senso più profondo di studio culturale del termine. Se tutti si mettessero in modalità di ascolto, sarebbe così facile e si può davvero restare stupiti da cosa si può imparare.

Con Manuel Pernazza questo disco non è solo suono ma anche teatro o sbaglio? Cosa accade in scena?
Dal primo momento che è stato concepito come album, “Largo di Castello” è prima di tutto una situazione che deve essere viva. Sono immensamente convinta che questo genere musicale viva perfettamente incastrato in determinati contesti, che siano legati a un rito o a una messinscena. Lo stesso Maestro Roberto De Simone (immenso esponente della culturale italiana musicale e teatrale, che mi ha dedicato l’introduzione al libretto) sostiene che tali musiche dimezzano la loro spiritualità se non contestualizzate nelle giuste maniere. Manuel Pernazza è l’erede della tradizione del Teatro San Carlino. Il mio disco è ambientato proprio in quella piazza. Il collegamento va da sé. Ma è anche vero che io ho molto caro il concetto della maschera di commedia dell’arte che danza e vive sulle musiche che ho ricercato. Lui, ambasciatore della maschera di Pulcinella, rievoca antichi monologhi e mostriamo quanto l’esperienza musicale in un’epoca antica, fosse strettamente a contatto, a cavallo tra musica e teatro.
È in procinto una tournée nazionale e con alcuni accordi che si stanno definendo a livello internazionale, che sarà proprio il concerto- spettacolo “Largo di Castello”. Durante tale performance, io stessa vestirò la maschera di commedia dell’arte, diventando Colanfronio, il personaggio da me ideato con il contributo di Pernazza e i consigli del grande Maestro Roberto De Simone: punto di riferimento dell’arte della commedia e della musica. Rimetto in scena l’antica arte del travestimento legato all’opera buffa e assieme a Pernazza, mettiamo in scena canovacci dell’arte che comprendono giochi, battute e musicalità.

 

E nel disco anche inediti per così dire… sembra un po’ curiosa questa scelta visto che stiamo parlando di un lavoro che tramanda e preserva una cultura esistente… che significato assumono dunque i brani inediti?
Infatti non hanno assolutamente la pretesa di essere “inediti”. Sono tendenzialmente mie interpretazioni di brani storici, miei adattamenti musicali e alcune creazioni di andamenti, sì, ma strettamente legati a modi di improvvisazione del periodo barocco. Per esempio: in “Musica Sola Mei Superest Medicina Veneni” è vero esserci un lavoro al limite con la composizione originale, ma è una linea in realtà molto molto sottile: le strofe sono antiche e le ho unite su un andamento musicale tipico dell’epoca. In altri brani, il percorso è stato di portare il brano alle sue origini seicentesche, quindi in effetti un lavoro di fantasia, ma sempre nel rispetto di modi e andamenti. In altri che sono vere e proprie creazioni originali, il lavoro è sempre stato di partenza da linee di basso riportate dalla storia della musica barocca, in cui l’improvvisazione di una maniera di suonare ha fatto nascere qualcosa che potesse essere definito un “episodio” e quindi racchiuso in una traccia.

Il viaggio di questa lunga ricerca è concluso o sta portando ancora nuove scoperte?
Come si suol dire, non si finisce mai di imparare! Penso che la bellezza della vita sia di avere la possibilità di imparare in qualsiasi campo fino all’ultimo secondo. È talmente profondo il ramo da me scelto e qualcosa di complicato e intenso, che porta a scoprire sempre qualcosa di nuovo. Ancora oggi capitano giorni in cui scopro finezze o cose talmente nuove che mi portano a “gettare per aria” mesi di ricerca storica. Il percorso è talmente vasto che questo primo lavoro discografico è solo il primo tassello. Sto già pensando al prossimo lavoro, non posso anticipare molto perché sono ancora in una fase di studio e raccolta, ma posso dire che sarà eseguito su liuto rinascimentale. Quindi ci spostiamo ancora più indietro nel tempo e andiamo a scavare nello specifico di storie che appaiono così lontane, ma che con coraggio e impegno, si possono rendere attuali. Tra i commenti più belli del pubblico ogni volta, c’è sempre quella sensazione di essere stati trasportati “in un’altra epoca”. Adoro quell’imprecisione, quell’essere riuscita a staccarli dalla realtà per avergli fatto fare un altro tipo di viaggio. Sono tra le sensazioni più belle da poter regalare.