Indaghiamo da vicino un disco in bilico tra genio e trasgressione come “Phara Pop vol.1” a cura di Daniele Faraotti. In questi giorni immersi nel vortice mediatico del grande Festival di Sanremo non smettiamo comunque di illuminare anche il sottobosco della preziosa musica italiana, musica altra che – e questo disco lo dimostra a pieno – si fa portatrice sana di grandi intuizioni e libertà compositive, ricerca e radici importanti.

Max Ophüls, iconico regista, considerato il maestro insuperato del genere melodrammatico, ha ispirato una moltitudine di altri registi, tra cui Kubrick. Da dove arriva l’intuizione di ispirarsi al primo episodio del “Piacere” con questo tuo nuovo singolo dal titolo “Il ballerino di quadriglia”? Pura estetica kantiana o c’è dell’altro?
L’intuizione arriva guardando il film per l’ennesima volta. Complice la necessità di dover completare i testi per le canzoni dell’album, l’episodio del ballerino – il primo dei tre episodi contenuti nel “Piacere” di Ophüls, ha ispirato la quadriglia . Mi pare un film oltre i generi. Un film eterno – un sogno – la vita colta mentre la stiamo vivendo. È l’unico film di Max Ophüls che conosco bene. Il giudizio estetico viene sicuramente espresso da quella che è una relazione con il soggetto percepente e “in particolare con il suo sentimento di piacere”. Essendo il film il “Piacere “, tu capisci, il banco salta e ci si ritrova estaticamente assorbiti in una spirale che è quella che mi ha fatto acchiappare al volo la maschera. Ah, me tapino, tapino!

Nascondere la propria età con una maschera e scatenarsi sulla pista da ballo. Potrebbe perfettamente essere una metafora dei giorni attuali “smartphonizzati” in cui ognuno nasconde la propria identità gettandosi nella mischia digitale. Vaniloquio cerebrale o c’è forse un legame con questa visione nata dall’ascolto del tuo brano?
Se vuoi si – tutto è metafora di qualcos’altro. I giorni attuali sono per me un po’ tristi. Sono come la scuola descritta da Fellini in Amarcord: non c’entrava niente con la vita, una cosa astratta e delirante fatta di pazzi. Il rapporto con la società è bene che sia più indiretto anche per non esserne limitati e castrati. E poi, c’è la vita: il mare, il sedere della Gradisca, tante seghe e le uova sode. La società coercizza l’individuo fin dalla più tenera età, si tratta di scorgere punti di fuga.

Composizioni, live, pubblicazioni e anche un vinile (Phara Pop Vol.1). Tanta e importante musica nel tuo bagaglio, ed ora in promozione nazionale nelle radio con il nuovo singolo estrapolato dall’album. Cosa rappresenta per te il continuare a scrivere canzoni in un mondo che ormai sembra non importarsene più dell’arte, arte intesa come profonda comunicazione e bellezza?
Si segua il daimon. Ognuno il suo, ben inteso. Si tratta di riferire. Non si tratta di successi – non si tratta di quella palla di resilienza… forse si, di arte intesa come profonda comunicazione e bellezza se non fosse che, mi pare troppo!! Si tratta di trasecolare in un tempo parallelo – guarda, alla fine non saprei dire. Si tratta che evidentemente scrivo e quindi continuo a scrivere. Che ti posso dire? C’è chi vanta curriculum indescrivibili e non conosce tutti i quartetti di Beethoven. Cosa vuoi che contino i curriculum, le lauree, i master, i corsi sulle emozioni se non conosci i quartetti di Beethoven. Con alcuni amici facciamo un gioco un po’ perverso e sadico: se a nostro cospetto dovesse presentarsi un castorone vanitoso di chissà quali curriculum, subliminalmente uno di noi potrebbe cominciare a ripetere ossessivamente e a voce bassa: “Opera diciotto, opera diciotto, opera diciotto”. Se il castorone dovesse raccogliere, citando almeno
l’antecedente del tema del primo quartetto in Fa, ossia del terzo o della melanconia, beh, lo si accoglierebbe intonando il conseguente con giubilo e fraterna amicizia. È l’unica consorteria che sono in grado di concepire.

Un pop psichedelico e visionario, dagli arrangiamenti prog, new wave e con delle trame melodiche dai tratti cantautoriali. Un cocktail di generi e sensazioni che sicuramente donano originalità al progetto: un “Phara Pop” che rinnega orgoglioso le mode dell’attuale discografia italiana. Quali i tuoi riferimenti artistici, se ce ne sono e gli album che hanno maggiormente influenzato la tua musica?
Scriveva Schopenhauer: per i primi quarant’anni bisogna riempire il sacco per poi elaborarlo nei restanti trenta. Credo che funzioni così. Le mode attuali sono pilotate dall’industria o da quel che rimane di essa. Il pubblico crede di scegliere invece hanno già scelto per lui. Almeno che… non si insegni alle persone a pensare con la propria testa… macché dico, ma di che vado pazziando. E poi lo sai no, quando stai a raschiare il fondo, sei anche bello nervosetto e coercitivo al massimo. Il futuro è contenuto nel passato – futuro/fui – però anche pfui – un saraccio cosmico che se ne sbatta di queste minchiate. L’elenco sarebbe troppo lungo. Il sacco è stato riempito per quaranta anni. Gli album sono tanti, troppi. Ti dico solo questo – ho riascoltato dopo anni “Appena un po’ “, la canzone che apre “Per un amico” della PFM, mi sono commosso, è un capolavoro. Oggi a scuola nella classe di pianoforte leggevano lo spartito di “no surprises”; potevo sentirlo in lontananza.
Dopo un po’ non ho resistito, sono andato nella classe di pianoforte e con Monica Fini ( l’insegnante di pianoforte ) ce la siamo suonata e cantata tutta. Ecco, Monica conosce l’op. 18.