Sulle opere di Hieronymus Bosch si muove tutto, sagomando suoni e visioni, tra rinascimento e futuro, dove il classico ha incontrato anche la tecnica sfacciata per la produzione e non solo per la resa dal vivo. Infatti tutto questo nasce in remoto, a distanza da tutti loro: sono i Fernweh e cioè Emiliano Bagnato (chitarre e sintetizzatori), Lorenzo Cosci (Batteria e percussioni) e Daniel Leix Palumbo (sintetizzatori e tastiere). Esperienza multisensoriale che oggi finalmente trova la dimensione di un disco autoprodotto e disponibile dentro i canali digitali. Qualche nota di ufficio: “Tríptiko” è stato quindi presentato in live dai Fernweh per la prima volta a Oviedo durante i Princess of Asturias Awards 2019 nella suggestiva cornice della Fábrica de Armas de La Vega. In seguito, il concerto è stato portato in Italia per IBRIDA Festival delle Arti Intermediali nel 2021 a Forlí, ed è stato poi riproposto nuovamente a Oviedo nell’edizione 2022 dei Princess of Asturias Awards. “Tríptiko” è al momento in esposizione in un nuovo formato installativo a Palazzo Reale a Milano nella mostra “Bosch e un altro Rinascimento”, aperta al pubblico fino al 12 Marzo 2023.

Un disco che dietro ha un mondo complesso da raccontare. Sempre difficile spiegare come e quando il suono incontra l’immagine e viceversa. Ma secondo voi l’incontro è possibile o è solo una resa estetica d’arredo?
Secondo noi l’incontro è possibile e, anzi, quando ci troviamo ad affrontare un lavoro multimediale, il commento o l’arredo sono proprio le cose che cerchiamo di evitare. Ci piace la rielaborazione, la rilettura, e ci piace quando avviene a livello di impressione, di suggestione, di visione. Tríptiko è nato anche da tanta ricerca: sullo stesso Bosch, sui simboli presenti nei suoi dipinti e sulla musica a lui contemporanea. Però poi, durante il lavoro, è bello far scivolare la ricerca a livello inconscio e far agire le impressioni. È così che si riesce a rileggere un’immagine con il proprio linguaggio e anche, nel caso di Bosch, a renderla contemporanea.

Quanto del suono ha i colori e le sfumature delle opere di Hieronymus Bosch secondo voi?
Abbiamo subito percepito Bosch come un pittore molto sonoro. A partire dall’elemento più semplice ed evidente: nei suoi quadri sono presenti moltissimi strumenti musicali, che abbiamo utilizzato come suggestioni timbriche (liuto, arpa, strumenti a fiato di vario genere, ghironda e percussioni…).
Su un livello più profondo, l’opera di Bosch è costellata di simboli: visioni che alludono ad altro, talvolta estremamente crude, altre volte lisergiche, in parte terrene e realistiche, in parte fantastiche. In questo libero gioco di rimandi, c’è molto spazio interpretativo, ed è questo spazio che abbiamo cercato di abitare, non cercando, come si è già detto, semplicemente di descrivere, ma di offrire, a nostra volta, una visione.

Uno spettacolo multimediale… ma cosa nasce prima? Il suono o le visioni?
Il concerto multimediale è stato commissionato dalla Fundación Princesa de Asturias; noi come musicisti siamo stati coinvolti dallo studio di visual design Karmachina, che ha sviluppato tutta la parte visiva. Il primo passo, dunque, è stato la loro visione di rielaborazione delle opere di Bosch, dall’animazione 2D a vere e proprie ricomposizioni.
Detto questo, lo sviluppo della parte visiva e la composizione della musica hanno proceduto in parallelo e ci sentiamo di dire che suono e immagine, qui, siano in un rapporto orizzontale e mutuale, senza subordinazioni.

Avete replicato tutto dal vivo?
Dal punto di vista musicale, abbiamo organizzato il concerto per cercare di suonare il più possibile e lasciare in sequenza soltanto le parti di sound design, difficilmente riproducibili dal vivo. Gli strumenti presenti sul palco sono batteria acustica ed elettronica, diversi sintetizzatori e chitarra elettrica.
Si tratta di un live molto strutturato, con un sistema di sincronizzazione audio-video e molta programmazione MIDI. Per una composizione audiovisiva articolata come Tríptiko, è difficile pensare a un’impostazione diversa.

Ma lasciare il suono dentro un disco, non lo priva della sua parte fondamentale per essere completo?
Si può affrontare il discorso da molti punti di vista, diciamo che quando si parla di “riproduzione” o di “esposizione”, si tratta quasi sempre di “quello che resta” dell’atto creativo. Se è questo a cui ti riferisci quando parli di “parte fondamentale”, la musica riprodotta è certamente mancante di qualcosa. Al tempo stesso non ci sentiamo di impostare la questione in termini di “completezza”; fare un disco è un processo che include una grande parte di progettualità, non si tratta semplicemente di registrare e riprodurre una performance, un atto — in questo caso, sì, sarebbe inevitabilmente fallace —. Si tratta di progettare, di costruire, di stratificare, di sottrarre, di distruggere e ricostruire e così via. È un processo molto articolato nel tempo e costituito di tanti micro-atti creativi, che talvolta sabotano anche il progetto iniziale, il che è bellissimo. “Quello che resta”, in questo caso, è proprio ciò che costruisce l’autore.