Croce sulla montagna l’opera di Caspar Friedrich del 1808
di Alessio Fucile
Ti presento «Croce sulla montagna», affascinante opera di Caspar Friedrich risalente al 1808 e destinata originariamente ad essere pala d’altare per la cappella privata dei conti Von Thun-Hoenstein di Boemia. Si può oggi ammirare alla Gemäldegalerie di Dresda.
Si tratta contemporaneamente della prima e di una delle più importanti opere di Friedrich: il dipinto costituisce un punto di rottura con la tradizione, che non aveva mai rappresentato la crocifissione inserita in un contesto naturale. Il pittore, da un punto di vista ribassato, contempla la sola croce di Cristo rivolta verso il tramonto del sole in quel pomeriggio di venerdì, quando «si fece buio su tutta la terra».
Descrizione opera
L’alto crocifisso, fissato tra le rocce, è rappresentato sul picco di una montagna e circondato da alcune conifere: la roccia rimanda alla saldezza della fede che sfida anche l’assurdità della morte; gli alberi nel dipinto sono piante sempreverdi, simbolo della speranza umana, e da questi è ricavata anche la Croce stessa, tanto che ancora rimangono i segni. In questo dipinto è rappresentato il momento in cui il mondo è posto di fronte alla presenza divina pur nella solitudine, nel silenzio e al tramonto di una giornata e di una esistenza. Dall’alto, la croce riceve i raggi del sole e rinvia alla Resurrezione, mentre la terra ancora immersa nella notte rappresenta la dimensione terrena e la morte. I tre raggi di luce che splendono da dietro la montagna rimandano alla Trinità: il Figlio muore sulla croce, il Padre lo dona per amore e lo Spirito illumina quella morte svelandone il significato autentico.
Friedrich decide di rappresentare Gesù solo e in lontananza, come colui che condivide in tutto la fragilità dell’uomo, e tralascia le figure dei due ladroni. Gesù ha subito la punizione peggiore di tutte. Nell’antica Roma la crocifissione era la pena capitale riservata agli schiavi. In Palestina era la punizione destinata ai rivoltosi e Gesù fu condannato come sobillatore politico dal governatore Ponzio Pilato, come anche suggeriva sarcasticamente la scritta posta sulla croce, «Gesù nazareno re dei Giudei».
La condanna per la redenzione dell’uomo
L’apostolo Paolo comprese che nella condanna del Figlio di Dio risiedeva la redenzione dell’uomo e quindi la sua salvezza: «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge diventando lui stesso maledizione per noi». Le parole di Paolo sembrano molto dure, ma sono profondamente giuste: la Croce è, per ogni cristiano, un simbolo duplice perché ricorda la punizione che segue il peccato e simboleggia la speranza e la vittoria. Gesù ha preso su di sé il peccato, la colpa e la punizione di ogni uomo; quella Croce, portatrice di dolore immenso diventa tramite Cristo il simbolo della vittoria. Ogni tua debolezza e fragilità, Dio la trasforma in speranza così come è stato capace di fare con la Croce del Figlio.
Sulla croce le braccia di Gesù stanno spalancate in segno di apertura e accoglienza universale, al contrario di un’esistenza rivolta solo su se stessa e chiusa agli altri. Tutto è silenzio e solitudine attorno a Gesù. La sua morte non è un dolce addormentarsi che pone fine all’esistenza; tutt’altro! Essa è distacco e separazione, lacerazione interiore e dagli altri. Gesù muore urlando il “non senso” della morte, ed è proprio questo che lo rende solidale con tutta l’umanità. E questo vale per sempre, così come diceva Pascal: «Cristo è in agonia sino alla fine del mondo».
L’amore profondo di Dio
Dalla Croce, Gesù sembra gridare il suo abbandono e la sua solitudine: il Padre mai lo ha abbandonato, ma Dio stesso – nella persona di Gesù – decide di attraversare quel dolore, quel peccato e quella morte che sarebbero dovuti toccare all’uomo. Non solo si svela così l’amore profondo di Dio nei tuoi confronti, risponde anche al ruolo che il dolore ha nella vita di ciascuno. Quando Giobbe chiede a Dio il perché di tutto il male, Dio offre sé stesso come risposta. Ciò si concretizza nel sacrificio di Gesù ma anche nella funzione salvifica che il dolore può avere, così come è avvenuto sulla Croce.
Se nella morte abietta della croce si svela la crudeltà del male e degli uomini, si manifesta anche il supremo dono da parte del Figlio di Dio che per solidarietà con ogni persona si offre alla morte. Questo è ciò che ha visto il centurione romano e lo ha fatto ricredere su quel condannato che gli stava davanti: «Veramente quest’uomo era figlio di Dio». La morte di Gesù non è solo dolore: è misericordia per coloro che lo condannano, è speranza per il buon ladrone che muore accanto a lui, è fiducia nel Padre, è amore per te.
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