L’inquinamento da plastica

di Guido Campese

Si parla da anni dell’inquinamento e i Governi di tutto il mondo stanno cercando di invertire, più o meno convintamente, le condizioni di tale fenomeno per salvaguardare la terra per noi e per i giovani cui consegniamo il futuro. Tra le fonti di inquinamento quello dovuto alla produzione di plastica è diventato uno dei problemi ambientali più urgenti proprio a livello globale.

La plastica essendo un materiale economico e versatile è stato adottato dalle imprese soprattutto nell’impiego del packaging dei prodotti, ampiamente utilizzato anche in campo alimentare. La sua scarsa biodegradabilità tuttavia rende questo materiale altamente inquinante per l’ambiente.

Inoltre nonostante la sensibilizzazione verso i consumatori, la raccolta differenziata e il riciclo, della maggior parte della plastica prodotta, finisce in discarica o nell’ambiente naturale, dove impiega centinaia di anni per degradarsi, causando seri danni all’ecosistema.

La plastica non correttamente smaltita finisce ovunque, dal mare ai terreni agricoli, abbandonati sulle strade e persino nei parchi. Ne consegue che nel tempo le microplastiche, così degradate, ma persistenti in natura, entrano a far parte della cosiddetta catena alimentare compromettendo la qualità delle risorse idriche e alimentari. Ritorna in tal modo sulle nostre tavole e nei nostri corpi danneggiando seriamente anche la salute.

E’ necessario dunque urgentemente contrastare il fenomeno dell’inquinamento da plastica agendo su più fronti da quello politico, fino alla fonte di produzione industriale, riducendo l’uso di plastica monouso. E ancora si deve passare dalla promozione di una maggiore consapevolezza dei consumatori riguardo il consumo di plastica, fino alle politiche di riciclo che oggi sono ancora molto poche in termini percentuali rispetto allo scarto prodotto. Urgente dunque andare verso soluzioni alternative ed eco-sostenibili, anche attraverso una cooperazione internazionale con un più ampio coinvolgimento per la salvaguardia della natura a livello globale.

Riconoscere i simboli per un acquisto più consapevole

Partiamo dal consumatore e dalla spesa di ogni famiglia per l’approvvigionamento delle risorse alimentari. Non tutti forse hanno fatto caso che proprio sulle confezioni di plastica sono stampati dei numeri all’interno di una figura geometrica, il più delle volte un triangolo, che indicano i materiali utilizzati per la fabbricazione dei contenitori e le relative modalità di riciclo. Per le bottiglie di acqua in particolare è anche indicata la scritta PET (polietilentereftalato). Ci sono anche altre indicazioni ognuna delle quali indica sia il tipo di plastica usato (Hdpe-PVC, LDPE, PP, PS). Quando le plastiche usate sono “miste” es il pacchetto di patatine che all’interno è composto di carta argentata il simbolo utilizzato è altro ovvero 7-0. Questo significa che non potrà essere riciclato e il suo destino è solo l’inceneritore che comporta ulteriori immissioni di inquinamento nell’aria.

La verità sul riciclo della plastica è infatti che solo il 50% di quella raccolta e ben differenziata dai cittadini viene effettivamente riciclata. Il resto non può esserlo finendo nei termovalorizzatori per essere bruciata, spesso (fino al 2022) inviata per lo smaltimento in Paesi Extra UE. Un dato su tutti: l’Unione Europea ha esportato nel 2021 quasi 33 milioni di tonnellate di rifiuti, di cui la metà verso la Turchia. Una recente delibera ha imposto che l’Europa “tenga in casa” le proprie scorie e provveda direttamente al loro smaltimento.

L’impatto della plastica sulla salute

Gli studi sono progrediti moltissimo e una recente ricerca scientifica ha evidenziato come le micro-particelle di plastica siano ormai presenti anche nel sangue umano. Queste sono giunte attraverso il cibo, ma anche dall’aria che respiriamo.

Non ci rendiamo conto infatti che la plastica è tutta intorno a noi tra elementi di arredo, abiti sintetici, mascherine e cibo. Il pulviscolo generato dai polimeri di ogni genere fluttuano infatti nell’aria che respiriamo, divenuti frammentarsi di particelle talmente piccoli che riescono a penetrare i nostri polmoni.

Non da meno sono stati trovate queste piccolissime particelle anche nei pesci e persino nelle mele, nelle carote e altre verdure. Anche queste particelle infinitesimali sono in grado di inserirsi nel corpo dell’uomo attraverso il circolo venoso. Tra i residui presenti sono stati analizzati i cinque polimeri particolarmente utilizzati per il confezionamento di prodotti di uso comune.

Tra questi polipropilene (PP), polietilene (PE), polietilene tereftalato (PET), polistirene (PS) e polimetilmetacrilato (PMMA). La ricerca ha anche evidenziamo come si possa trovare la presenza, nel campione di sangue analizzato, anche fino a tre diversi polimeri. Il più frequentemente è il PET, plastica particolarmente resistente e leggera, largamente utilizzata per le bevande.

Un problema urgente che deve essere affrontato davvero con serietà e fermezza di intenti.

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