Aveva solo 16 anni, Paolo Boccia, quando in un terribile incidente di moto ha perso la vista.
La sera del 26 ottobre del 1984 Paolo Boccia era a cavallo del suo amato mezzo, sfrecciando col vento in faccia e mille sogni per la testa, quando in un solo secondo la sua vita ha preso una direzione inaspettata, cambiando all’improvviso tutto quanto. Tra infiniti interventi chirurgici e flebili speranze di recuperare almeno un occhio, inizia per lui un periodo di grandi difficoltà, che però è riuscito a superare completamente grazie ad una intelligenza vivacissima, una grande ironia e, soprattutto, un ottimismo davvero coinvolgente.
Adesso, la storia di quello che è accaduto dal giorno dell’incidente ad oggi, Paolo Boccia l’ha raccontata nel libro “Dal mio punto di vista”, appena uscito per la casa editrice Le Lettere. E noi lo abbiamo incontrato per parlarne con lui.
Leggendo queste pagine, sembra che per te l’incidente sia stato non dico un’opportunità, ma di sicuro una possibilità. Sei diventato fisioterapista e contemporaneamente hai iniziato a lavorare con le radio, entrando in contatto con il mondo della musica e dello spettacolo, da cui poi è nata una tua società di management che hai portato avanti per anni. Adesso hai scritto anche un libro. Come è nata l’idea di scrivere?
Scrivere, in realtà, mi è sempre piaciuto. A scuola era una delle cose che facevo meglio. Però sino ad ora mi ero cimentato solo con le canzoni, non pensavo di essere capace di scrivere un libro. Poi un giorno ero al CTO ed è venuto a farsi un trattamento da me il professor Mecacci, primario di Ginecologia. Ci siamo piaciuti subito ed abbiamo parlato tutta l’ora. Era curioso di sapere come avevo perso la vista e mi ha riempito di domande, sull’incidente, il prima e soprattutto il dopo. Alla fine della seduta, mi ha messo la mano su una spalla e mi ha detto “Ragazzo, tu devi assolutamente scrivere un libro”. A dire il vero non era la prima volta che me lo dicevano, ma le sue parole hanno fatto più effetto delle altre e la sera stessa ho iniziato a buttare giù le prime righe, che poi sono diventati capitoli e infine il libro. E’ stata un’esperienza bellissima, sia perché mi ha permesso di mettere insieme tante cose della mia vita che sino a questo memento vagavano confuse nella mia memoria, sia perché mi ha fatto mettere nero su bianco – almeno spero – il messaggio che mi sembra più importante, che è un messaggio di positività. Reagire e andare avanti è stato bellissimo e credo possa essero per tutti, dopo ogni difficoltà, grande o piccola.
Tornando agli altri due lavori, ci racconti un aneddoto divertente di questi anni a Careggi e in giro per concerti? Nel libro ce ne sono tanti, scegline due.
Nel libro ne ho scritti tanti, è vero, ma me ne vengono in mente adesso due che non ho ancora raccontato. Il primo mi è successo di recente in ospedale, dove è venuto a fare un trattamento alla cervicale un signore piuttosto anziano. Mentre lo manipolavo, inizia a raccontarmi con tutta la sofferenza del mondo che il suo cane è diventato cieco. La cosa lo fa disperare, sia per il cane, che nella sua nuova dimensione sbatte dapperutto e non riesce più a fare niente da solo, sia per se stesso, che adesso si deve occupare dell’animale come se fosse un bambino appena nato. E il tutto me lo racconta, senza pensare nemmeno una volta che lo stava dicendo a me, altrettanto cieco da anni. Quando gliel’ho fatto notare, dopo un grande imbarazzo, si è messo a ridere con me. E se ci ripenso oggi continuo a pensarlo un aneddoto divertente, ma in realtà nasconde tutti i pregiudizi che le persone che vedono hanno verso la cecità. E sono tutti pregiudizi che io spero di aver sfatato con il mio libro.
Per quanto riguarda il mondo della musica, invece, racconterò un episodio senza però fare il nome del cantate con cui è accaduto. Anni fa, in una sera di concerto, un artista mi aveva chiesto, fra le mille cose tecniche di cui aveva bisogno, di trovare nel camerino un rum Havana invecchiato di 7 anni. Noi ovviamente ci eravamo occupati di tutte le cose di cui aveva bisogno, ma non gli avevamo fatto trovare la bottiglia. Lui, dopo il sound check e prima dello spettacolo, per il quale lo stavano già aspettando oltre 2000 persone, mi dice che se non gli portiamo la bottiglia non avrebbe fatto il concerto. Io, basito, gli dico che se si prova a fare una cosa del genere, salgo sul palco e racconto al pubblico perché se n’è andato. E lui a quel punto, il concerto lo ha fatto eccome. Ma di sicuro con me è stato l’ultimo.
So dai social che hai già iniziato il tour delle presentazioni del libro. Che effetto ti ha fatto il rapporto con il pubblico?
Ne abbiamo fatte ancora pochissime, ma ho già capito che saranno la cosa più bella tra tutte quelle che questo libro si sta portando dietro. Mi è sempre piaciuto avere a che fare con le persone e trovo bellissime le relazioni che si creano in questi incontri. E’ stato splendido sia il rapporto con i relatori, che a volte trovano nel libro cose verissime e bellissime a cui io non avevo ancora pensato, sia quello con il pubblico, che con le sue domande ti fa capire tutto il suo interesse e la sua partecipazione. Mi piace parlare e mi piacciono le curiosità degli altri, somigliano alla mia.
A proposito di curiosità, dai tuoi racconti sembra che la tua sia uno dei tuoi motori principali. Posso chiederti dunque se hai già qualcosa di nuovo che bolle in pentola?
È vero, credo che la curiosità muova qualsiasi cosa e di sicuro la mia testa è sempre in movimento. Al momento non ho un obiettivo preciso, ma ho delle idee. E una di queste è che se, e sottolineo se, questo libro dovesse avere delle vendite superiori alle aspettative mie e soprattutto della casa editrice, potrei mettermi a scriverne un secondo. Quello che è certo è che dovrà essere ancora più forte del primo, perché nella vita bisogna sempre andare avanti e migliorarsi. Il passato è storia, il presente è ora, il futuro deve essere qualcosa che aggiunge qualcosa a quello che già hai fatto.
Da leggere Paolo Boccia “Dal mio punto di vista”